Storytelling: raccontare con le immagini

Uno dei termini più utilizzati in ambito creativo negli ultimi anni è sicuramente “storytelling”, ovvero l’atto e l’arte del narrare. La capacità di raccontare con le immagini è
sempre più apprezzata e richiesta nel mercato del lavoro. Difatti, possiamo riscontrare facilmente che lo storytelling è diventato un trend non solo nel mondo della comunicazione ma anche in quello del marketing.

L’articolo di oggi ha l’obiettivo di fornire qualche spunto di riflessione, invitando il lettore a soffermarsi sull’importanza della parte narrativa del lavoro fotografico. Perché il messaggio ha sempre il peso più considerevole in una foto. Se poi dal punto di vista tecnico è anche confezionato con maestria, il gioco è fatto.

Chi è lo storyteller e cosa troviamo nella sua cassetta degli attrezzi?

lampada pixar

In ambito fotografico, lo storyteller è colui che riesce a creare una connessione tra il narratore e chi osserva. È un coinvolgitore. Il suo lavoro è portarvi dentro una storia. Ma, per coinvolgere, deve essere coinvolto anche lui e prima ancora dei suoi potenziali osservatori.
Questo vuol dire che deve conoscere in modo approfondito l’argomento di cui vuole parlarci. La ricerca, infatti, è uno strumento essenziale per raccontare una storia. L’attenzione ai dettagli si perfeziona diventando esperti, almeno temporaneamente esperti sul soggetto da raccontare.
Pensiamo a un fotografo che decide di vivere per un determinato periodo in un villaggio, al fine di documentarne la storia e le caratteristiche. Acquisirà di sicuro un punto di vista privilegiato che lo aiuterà a raccontare la storia del villaggio in modo visuale ed efficace.
«Si sente spesso di persone che guardano una foto e dicono: “Avrei potuto scattarla anch’io se fossi stato lì!” La risposta è: “Sì! Forse avresti potuto. Ma perché non ti trovavi lì?” Essere “lì” è il cuore della fotografia. Il concetto secondo cui tutta la fotografia dipenda dal ruotare le ghiere e dall’angolo del viewfinder ignora tutta la catena di processi esistenziali e causali che portano il fotografo a trovarsi di fronte a quella cosa e a essere in grado di riconoscerla, tra i tanti altri elementi presenti nello stesso momento, scegliendo quel particolare angolo, quell’attimo e quel particolare punto di vista. Ecco perché trascorro molto tempo nella ricerca.» Jim Richardson

Tutto sta nel capire che la fotocamera, in fondo, è una cassa di risonanza. Ciò che vi separa dalla folla è la vostra capacità di registrare immagini in un modo che definisce una narrativa e una più ampia comprensione di dove siete e di quello che state vedendo. Non siamo solo esperti turisti che camminano con una fotocamera in mano. Siamo storyteller e abbiamo un modo molto specialistico e creativo di raggiungere il nostro scopo. La fotocamera serve solo come cassa di risonanza. Storicamente, la cassa di risonanza è un dispositivo che è stato usato per diffondere il suono degli oratori alle folle di ascoltatori. Scattare fotografie è uno dei principali metodi moderni per descrivere visivamente quel che abbiamo di fronte in un certo momento, per registrare sfumature visive, dinamiche e contesti emotivi.

Quindi, il primo strumento che troviamo nella cassetta degli attrezzi dello storyteller è proprio la ricerca.

Le fonti. Parlare di ricerca significa anche parlare di fonti. Valutate la possibilità di incontrare le fonti primarie, attraverso un’intervista, ad esempio. Spesso si tratta dei nomi che compaiono più spesso nelle nostre ricerche mediante il web, gli articoli, i blog, le riviste, i podcast ecc.
Le fonti primarie sono le fonti consultate personalmente. Es. Stiamo raccontando il movimento artistico di una città? Le fonti primarie in questo caso sono gli artisti, consultiamo così l’esperto della storia che vogliamo raccontare. Le fonti secondarie invece sono le informazioni che non avete raccolto in maniera diretta (blog, riviste ecc). Cercate tutti i libri, siti web e qualsiasi altra fonte. Memorizzate il tutto in un database. Ciascuna storia includerà tantissime fonti alla fine della ricerca.

Un altro strumento è di sicuro la lettura. Se volete diventare dei buoni fotografi capaci di raccontare una storia, dovete leggere di più, se già non lo fate. La lettura esercita l’immaginazione e offre modi alternativi di vedere ambienti, personaggi e conflitti. Lo scrittore, per l’appunto, è un campione nella creazione di personaggi che possiamo visualizzare, odorare, ascoltare, quasi toccare. La lettura è ispirazione per le vostre storie. Potrebbe diventare una buona morning routine l’abitudine di leggere 15-30 minuti ogni mattina, appena svegli. Perché con la lettura migliorerete, senza dubbio, il vostro vocabolario scritto e visuale.

Leggete anche molte fotografie. Questo è importante per capire come vengono raccontati i fatti e comprendere l’incredibile numero di modi in cui una fotografia può raccontare. Non trascurate nemmeno la lettura di storie illustrate.

Altro strumento? L’uso del bianco e nero. «Il bianco e nero trae la sua forza dall’astrazione, togliendo parte della realtà finché non resta qualcosa che è il messaggio.» (Jim Richardson)

E poi la luce… È fondamentale studiare bene la luce in una foto. Pensiamo a un ritratto: un’ombra netta sulla parte destra del volto potrebbe far pensare al soggetto come il cattivo di turno. In questo caso, è corretta la connessione tra il soggetto e chi osserva? Questo è il messaggio che volevamo trasmettere? Magari no, perché lo scopo della foto era far trasparire i tratti della personalità del soggetto: “un uomo che mi era sembrato un vero gentleman”. Dunque, la connessione non era corretta, pur essendo comunque studiata la luce nell’immagine. La foto è piacevole ma “dice” qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che volevamo raccontare. Sceglierò allora una luce meno aggressiva per rappresentare un soggetto non minaccioso.
Infatti, nella lettura di una foto già incide molto la fallacia intenzionale. Non possiamo aggiungere anche una scelta poco corretta rispetto alla luce da utilizzare. Per inciso, la fallacia intenzionale è la differenza tra il significato intenzionale del creatore di un lavoro e quello attribuito dalle persone che ne fruiscono. L’immagine parla ma lo fa in modo diverso a persone diverse.

Dunque, nello storytelling, la luce aiuta gli aspetti emozionali ed è possibile sfruttarla per creare delle nuance nella narrativa visuale.
«Osservate i dipinti per domandarvi perché affascinano da secoli le persone: quindi, provate a quantificare l’arte, studiando la luce nei quadri, la composizione, la scelta dei colori.» Earl Nottingham

Non dimenticate di creare ciò che alcuni fotografi chiamano “pezzi da studio”. Mantenete la curiosità per le luci, le linee e le forme. Quindi, create immagini astratte su linee e forme sotto una luce particolare.

Bisogna poi prestare attenzione al modo di comporre, scegliere cosa enfatizzare nelle nostre foto, quale punto mettere a fuoco e anche quale temperatura colore usare in certi scatti.

Una composizione efficace è la capacità di catturare l’attenzione dell’osservatore e di assumere il controllo dell’occhio, una volta che questo è puntato sul frame. Se la luce definisce la dinamica emozionale che intendete diffondere (emozioni positiva = luce calda, ecc.), la composizione deve creare il viaggio attraverso quell’esperienza.
Un’immagine in cui una linea decisa divide il frame a metà distribuisce equamente l’attenzione dell’osservatore in due riquadri in competizione tra loro. Quando questo accade, è difficile indicare dove si trova la storia, nel senso che è più difficile da scoprire.

Veniamo poi all’importanza dei dettagli. Tutti siamo alla ricerca della “foto perfetta”, ma spesso sono gli elementi trascurati a dare una direzione alla storia. Prendetevi del tempo per notare le gocce di rugiada sulle piante o le incisioni intricate su un palazzo storico, oppure le rughe sulle mani dell’agricoltore. Date un’occhiata a qualunque numero del National Geographic e capirete la frase “la somma delle parti è maggiore del tutto”.

Altro aspetto su cui concentrarsi è quello del rispetto per ogni persona o cosa che si fotografa. «Rimasi colpito perché compresi che qualunque persona avessi incontrato, ogni soggetto, animale, oggetto inanimato e la terra aveva la propria dignità. Ora, quando approccio i miei soggetti, questo insegnamento è sempre con me. Si riduce tutto all’avere rispetto per ogni persona o cosa che fotografo. Per molti fotografi, una fotocamera è un meccanismo di difesa o di isolamento dalla vita reale. Può agire come una palizzata tra noi e il mondo, noi che diciamo: “Io sono un artista, tu sei un soggetto”. Ma quando lasciate cadere questo ostacolo, potete essere davvero partecipi di queste splendide e infinite storie che ci circondano». Earl Nottingham

E ancora… la previsualizzazione. Vedere una scena ed entrare in modalità fotografo. La previsualizzazione è la capacità di vedere l’immagine prima di crearla. Si parla di direzione visuale: se leggete di come gli atleti si allenano per un importante evento, spesso leggerete anche di come visualizzano la loro performance durante l’evento stesso. Molti giurano che questa tecnica li aiuta ad ottenere dei risultati.
Si previsualizza anche disegnando, facendo schizzi e bozze delle proprie idee. Questo aiuterà anche a liberare la mente in modo da generare nuovo materiale relativo alla storia.
Ricordate che, nell’attimo in cui vedete una persona in una luce attraente o qualche piacevole flusso di composizione, state previsualizzando.

Un esercizio molto utile può essere quello di “scoprire il tema” delle vostre immagini e continuare a scattarlo. Osservate le immagini che avete prodotto finora. Cosa rappresentano? Magari avete iniziato a sviluppare immagini attorno a certi temi universali perché siete in sintonia con essi. Forse usate la fotocamera come strumento per modellare gli atteggiamenti delle persone riguardo a quel tema. Stabilite allora un weekend in cui scattare in base a un tema universale. Per il bene dell’esercizio sceglietene uno piuttosto astratto, come il bene contro il male, la prosperità, giovinezza e vecchiaia, il potere o anche la vita e la morte.
Dopo aver selezionato il tema, sviluppate una lista di 15 potenziali foto che possano evidenziare il tema stesso. Ciò rinvigorirà la vostra creatività e, anche se avete già creato una lista di immagini, ora avrete maggiori probabilità di vederne altre che corrispondono al tema scelto. Conoscere l’importanza dei temi per lo storytelling vi spingerà a perserverare nell’identificare le possibilità di produrre immagini più intense.


SEQUENZA DI SCATTI DI UNA STORIA VISUALE

Parliamo ora della sequenza di scatti che si usa per raccontare una storia visuale. La sequenza è composta da:

1) scatti introduttivi (scatti ampi);
2) scatti medi e close-up (scatti ravvicinati);
3) ritratti ambientati.

Lo scatto introduttivo è tipicamente usato per definire il palcoscenico su cui si svolge la storia. Il racconto si svolge all’interno dell’ambiente mostrato in uno scatto introduttivo, quindi è molto utile per orientare visivamente ed emotivamente l’osservatore, prima che vengano prodotte altre foto più specifiche. Spesso si tratta di classici paesaggi aperti o skyline luminosi di città. Lo scatto introduttivo fornisce lo sfondo per il racconto, rende familiare il contesto all’osservatore. Include non solo l’ambiente ma anche il colore e la luce, caratteristiche che aiutano a “proiettare” uno stato d’animo e un senso di luogo, ponendo l’osservatore nello stato ideale per valutare le immagini che seguiranno.

Lo scatto medio rappresenta un passo in avanti rispetto agli scatti introduttivi e iniziano ad “assemblare” il racconto che è iniziato con le foto più ampie. Permettono all’osservatore di instaurare un coinvolgimento più forte con le sfaccettature della storia. I personaggi vengono presentati proprio con gli scatti medi e non parlo solo degli esseri umani. Queste foto mettono in risalto tutte le parti della storia, incluse persone, animali, arredi, strade, pali della luce e idranti. Presentano qualunque soggetto che sia significativo per il racconto. Ma gli scatti medi non sono così ravvicinati da decontestualizzare completamente il soggetto dall’ambiente circostante. Inoltre, ci offrono spunti su chi o cosa crea delle relazioni nella storia. Le azioni e le posizioni dei soggetti in relazione a tutto il resto nell’ambiente diventano tangibili, al punto che gli osservatori possono collegarsi a loro visualmente ed emotivamente in modo più profondo. La struttura tematica che definisce la storia diventa più concreta e specifica. Questi scatti sono più dettagliati di quelli introduttivi, ma non così tanto da diventare astratti e da rinunciare allo storytelling. Rappresentano l’intermezzo tra la definizione di un contesto e l’avvicinamento al soggetto, elemento quest’ultimo che renderebbe difficoltosa l’interpretazione del tema.

Close-up o scatti ravvicinati, sono spesso costituiti da immagini di dettagli e simili. Evidenziano i dettagli più piccoli che aiutano a completare il contenuto di una storia e lo fanno in un modo che riempie gli spazi lasciati liberi dagli scatti introduttivi e medi. Potete considerare queste immagini come gli aggettivi che i fotografi usano per descrivere una persona, un luogo o gli elementi inerenti la storia che deve essere raccontata. Fanno sì che l’osservatore si ponga delle domande. Queste immagini vengono usate per risultare intriganti agli osservatori, per allettarne i sensi e la curiosità. A volte vengono usati anche per aprire una storia.

Ritratti ambientati. Per lo storyteller è importante l’ambiente che circonda il soggetto. Quando si racconta una storia, lo scatto che mostra il soggetto “nel” contesto è fondamentale. Si parla in questo caso di ritratto ambientato.

Brevissimo esempio di storia:
1) scatto introduttivo che mostra un’area archeologica;
2) un dettaglio di uno scavo e sullo sfondo i partecipanti;
3) uno scatto dei partecipanti che lavorano;
4) un close-up sugli strumenti utilizzati;
5) un ritratto ambientato del direttore dei lavori;
6) oltre a scavare, i partecipanti hanno setacciato i materiali con la speranza di trovare tracce di attività dell’uomo: scatto che mostra questa operazione;
7) uno scatto che mostra come il direttore si consulta con un partecipante per sapere se ha identificato correttamente un artefatto ritrovato nello scavo;
8) un partecipante confronta un artefatto ritrovato con la sua rappresentazione grafica. L’immagine offre un senso di completezza al saggio.

È così che si crea un saggio fotografico il cui scopo è creare un percorso visuale attraverso una storia, per trasmettere emozioni, comportamenti e contesto, proprio come fanno le singole immagini.

In un saggio, le immagini vengono usate per costruire la storia in una “sequenza” che trasmetta la narrazione.

In ogni caso, usate la varietà. Quando sviluppate la vostra shot list, verificate se le vostre idee sono simili tra loro come angolo e prospettiva: se è così, sviluppatene di nuove. L’ultima cosa che volete è iniziare l’editing e capire di esservi focalizzati troppo sugli scatti introduttivi. La vostra shot list deve includere vari tipi di foto, oltre a diversi modi di fotografare una singola idea o soggetto. Tenetelo a mente, quando iniziate l’editing e la selezione delle vostre foto per il saggio. Completare l’opera con diversi angoli e tipi di immagini darà alla vostra storia una variazione dinamica. Rinforzerà le vostre capacità come visual storyteller e gli osservatori apprezzeranno la profondità della vostra storia, rispetto a un’altra composta prevalentemente da foto di dettagli.

Un altro modo per raccontare una storia è scrivere una didascalia per ciascuna foto. È raro vedere dei saggi fotografici senza un testo che accompagni le immagini. Le didascalie devono spiegare l’immagine, evidenziare cosa può essere successo prima o dopo quel sessantesimo di secondo o entrare nei dettagli delle attività mostrate in un particolare frame. Una o due frasi per ciascuna foto andranno bene – essere concisi è il segreto per tenere il pubblico sveglio. Tenete a mente alcuni principi della scrittura di didascalie: chi, cosa, quando, dove, perché e come.

Infine, ricordiamoci questo:
che la cosa sia intenzionale o meno, stiamo dicendo qualcosa con le nostre immagini. La domanda alla fine della giornata dovrebbe essere: che cosa stiamo cercando di dire? Per crescere come storyteller fotografici è necessario essere, almeno in parte, riflessivi, esaminando il proprio lavoro fotografico. Si è eterni studenti in fotografia: migliorando continuamente la tecnica e sviluppando uno stile personale, si può arrivare a parlare il linguaggio visuale in modo eloquente.

È ragionevole pensare che, se la storia non ha mai fine, una parte di questa attende di essere raccontata. A tal fine, non importa che stiate creando qualcosa di nuovo o che vi inseriate all’interno di una narrativa esistente: fintanto che siete sintonizzati su attività interessanti, problemi, fenomeni e qualunque altra cosa consideriate degna di essere trattata, sarete sempre coinvolti dallo storytelling. Professionisti o dilettanti, a tutti noi viene data l’opportunità di esplorare il nostro mondo, quando scattiamo delle foto. Siamo parte di una community di persone che crea, documenta e distribuisce informazioni naturali, culturali e sociali sotto forma di una storia. È nostra responsabilità contribuire a questa community, perché il fatto stesso di aver voluto imparare a usare una fotocamera per produrre storie dimostra che vogliamo imparare a comunicare con il mondo in cui viviamo. Tenete sempre acceso il radar.

E, allora, cosa facciamo con una fotocamera in mano? C’è una sola risposta dopo questa riflessione ed è questa: “Raccontiamo storie!”

Buon storytelling a tutti.

 

Consiglio di lettura
Potete approfondire l’argomento attraverso il libro di Jerod Foster.
Fotografia digitale. Raccontare con le immagini. Tecniche e strategie per creare storie fotografiche.

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