Diffrazione

diffrazione

Sintesi

  • La diffrazione di un’ottica indica la perdita di nitidezza che si verifica con diaframmi molto chiusi.
  • In fotografia la materia principale è la luce e, siccome quest’ultima ha una natura ondulatoria, possiamo definire la diffrazione come la deviazione della propagazione “rettilinea” di un’onda quando passa attraverso un foro.
  • Il foro attraverso il quale passano le onde luminose è il diaframma.
  • Più chiudiamo il diaframma, più le onde verranno deviate e cominceranno ad interferire l’una con l’altra. A questo punto, la nitidezza risulterà compromessa.
  • Qual è l’apertura del diaframma alla quale si verifica il fenomeno della diffrazione? In linea generale, è sempre meglio non esagerare con diaframmi chiusi come f/22 o f32, perché anche un ottimo obiettivo può diventare “soffice” a quei diaframmi (è questo l’aggettivo usato spesso per indicare la diffrazione).

La diffrazione è un fenomeno fisico con cui dobbiamo fare necessariamente i conti perché in fotografia la materia principale è la luce. E cos’è la luce se non un’onda? Stabilito che di onda si tratta, possiamo soffermarci un attimo sul seguente concetto: quando un’onda passa attraverso un foro avente una larghezza simile alla sua lunghezza d’onda, l’onda cambia il suo angolo di propagazione. Ora, in fotografia, il foro è costituito dal diaframma, per cui possiamo affermare che ogni obiettivo è affetto da diffrazione.

Come si manifesta? Quando siamo in presenza di diffrazione, notiamo che l’immagine si “ammorbidisce”, la risoluzione diminuisce, perdiamo dettagli, compare una patina che ricopre la foto finale.

In questo articolo non ci addentreremo in dettagli troppo tecnici pur non rimanendo in superficie.

lampada pixar

Per comprendere meglio il fenomeno, immaginiamo due piani posti uno di fronte all’altro, come quelli della figura sottostante e facciamo passare la luce attraverso un foro piccolo situato sul primo piano. I raggi che riescono a passare dovrebbero formare una linea orizzontale e sottile che illumina l’altro piano, quindi dovrebbe propagarsi in maniera rettilinea.

onda1
Figura 1

Invece, quello che succede è che i raggi cominciano a divergere e a interferire l’uno con l’altro.

Per capire il motivo per cui ciò accade, è necessario riflettere sulla natura della luce, che è duplice. La luce, infatti, ha una doppia natura: ondulatoria e corpuscolare. Essa è composta da fotoni, elementi che sono simultaneamente sia particelle che onde.

E cosa avviene quando la luce attraversa l’obiettivo?

Trovandoci in presenza di “onde”, e sapendo che la luce incontra un ostacolo, ovvero il diaframma, succede praticamente questo:
1) se la luce passa attraverso un foro che ha una larghezza maggiore della sua lunghezza d’onda, l’angolo di propagazione rimane quasi invariato, rettilineo, con una leggera diffrazione ai bordi (figura 2);

onde luminose
Figura 2

2) se la luce passa attraverso un foro che ha una larghezza simile alla sua lunghezza d’onda o minore, la diffrazione è più alta e la luce si propaga disperdendosi, l’onda dopo il foro si propaga a ventaglio (figura 3). Più semplicemente, la luce comincia a disperdersi quando deve passare attraverso la piccola apertura del diaframma. Ma non solo… Quello che succede è che alcuni raggi divergenti inizieranno a interferire con gli altri e vedremo che, in alcuni punti, si sommeranno (creando un pattern di diffrazione intenso) e, in altri punti, si annulleranno parzialmente o completamente.

onde luminose
Figura 3

Per intenderci meglio ancora, possiamo paragonare la luce ad un’onda marina che ha le sue creste e avvallamenti. La lunghezza d’onda è la distanza tra due creste consecutive (o due avvallamenti vicini). A seconda di questa lunghezza, la luce può assumere un colore piuttosto che un altro o essere invisibile.

lunghezza-onda

Quello che accade dopo il passaggio attraverso un foro più piccolo della lunghezza d’onda della luce è un accavallamento di onde in diversi punti, che generano in questo modo confusione.

interferenza-diffrazione-metti-a-fuoco

Alla luce di tutto questo, possiamo definire la diffrazione come la deviazione della propagazione “rettilinea” di un’onda.

Per chi vuole approfondire, ci sarebbe da aprire una piccola parentesi sul disco di Airy. Questo uno dei link per saperne di più: https://it.wikipedia.org/wiki/Disco_di_Airy
Si tratta del modello di diffrazione che prende il nome dal suo scopritore, ovvero George Airy. Ricordiamo che, come dice Wikipedia, per modello si intende, in fisica ma anche in altri settori della conoscenza, una rappresentazione concettuale (spesso una semplificazione che ammette una formalizzazione matematica) del mondo reale o di una sua parte, capace di spiegarne il funzionamento.

Citando fotografareindigitale.com: La larghezza del disco di Airy è utilizzata per definire la risoluzione massima teorica per un sistema ottico (definito come il diametro del primo cerchio nero). Quando il diametro del picco centrale del disco di Airy diventa grande rispetto alla dimensione dei pixel del sensore della fotocamera (o meglio, quando raggiunge la dimensione del cerchio di confusione) si inizia ad avere un impatto visivo sull’immagine.

Ritornando al nostro discorso sui diaframmi, possiamo aggiungere che il disco di Airy decresce man mano che si apre il diaframma, mentre chiudendo il diaframma a f/32 le dimensioni del disco di Airy sono molto alte, il che significa maggiore diffrazione.
Consigliamo anche la visione della prima parte di questo video: https://www.youtube.com/watch?v=kDJeHzYcwsU

 

Qual è l’apertura del diaframma alla quale si verifica il fenomeno della diffrazione?

La risposta è “dipende”, dipende dalla combinazione obiettivo/fotocamera, dipende dall’obiettivo utilizzato e dalla fotocamera su cui lo montiamo (in alcuni casi, se la sorgente di luce è molto concentrata, la diffrazione può verificarsi a qualsiasi apertura).

In linea generale, però, è sempre meglio non esagerare con diaframmi chiusi come f/22 o f32, perché anche un ottimo obiettivo può diventare “soffice” a quei diaframmi (è questo l’aggettivo usato spesso per indicare la diffrazione).

Questo non deve farci pensare che a tutta apertura la situazione è perfetta, anzi, spesso con diaframmi molto aperti diversi obiettivi sono eccessivamente morbidi. Meglio allora fare attenzione quando bisogna scegliere un nuovo obiettivo, in modo da selezionare quelli che ci fanno ben lavorare a quelle aperture, se quest’ultimo è il nostro scopo.

Invece, le aperture con le quali si può stare più o meno tranquilli, fermo restando che dipende dall’obiettivo, sono quelle tra f/5.6 e f/11, ottenendo spesso un’ottima qualità a f/8 per un sensore APS-C e f/11 per un sensore Full-frame, se abbiamo necessità di chiudere abbastanza il diaframma.

Abbiamo, così, appreso che la diffrazione colpisce le ottiche, non le fotocamere. Tuttavia a incidere è anche la dimensione dei pixel sul sensore: più grandi sono i pixel meno si avverte la diffrazione. Queste considerazioni, infatti, cambiano se confrontiamo un sensore APS-C e un sensore Full-Frame. Su quest’ultimo, la diffrazione compare a valori diversi rispetto al formato APS-C. Ma è interessante notare come le risoluzione del sensore faccia comunque la sua parte. Infatti, se la risoluzione dell’obiettivo diminuisce a causa della diffrazione, può succedere che diventi ancora più piccola della risoluzione di una fotocamera che ha tanti megapixel. A parità di sensore, dunque, quanto più è alto il numero dei megapixel, tanto più la risoluzione della fotocamera viene limitata dalla diffrazione dell’obiettivo, perché “registrerà” il difetto nella sua interezza. Come, infatti, dicevamo in un altro articolo, se il sensore ha una risoluzione minore di quella dell’ottica, l’immagine risulterà nitida, perché il sensore non registra il limite di risoluzione dell’obiettivo. In questo caso, l’immagine non avrà un’alta risoluzione ma sarà meno “impastata” e ci sarà un po’ di microcontrasto in più, perché l’obiettivo non interviene in questo decadimento della qualità. Al contrario, se il sensore ha una risoluzione maggiore di quella dell’obiettivo, l’immagine sarà meno nitida, perché il sensore registrerà anche il limite risolutivo dell’ottica. Quindi avremo un’immagine con maggiore risoluzione ma più morbida.
Inoltre, un maggior numero di megapixel addensati su un sensore APS-C vuol dire ridotta dimensione dei fotositi (pixel) e abbiamo appena detto che i fotositi più piccoli sono più sensibili alla diffrazione.

Di conseguenza, per ottenere fotografie migliori e dettagli ben definiti, è importante conoscere il limite della nostra combinazione fotocamera/obiettivo, conoscere il diaframma che permette alla diffrazione di verificarsi e rovinare irrimediabilmente i nostri scatti.

Pertanto, concludiamo l’articolo indicando due tools online gratuiti per il calcolo della diffrazione. Grazie a questi strumenti possiamo conoscere la soglia limite oltre la quale non possiamo spingerci se vogliamo evitare il fenomeno della diffrazione. Il primo lo si trova a questo link: http://www.cambridgeincolour.com/tutorials/diffraction-photography.htm
La seconda risorsa invece è più completa e il suo punto forza è la simulazione. Si tratta di un tool che non solo permette di calcolare la profondità di campo, l’iperfocale, di avere un’idea del bokeh, delle distorsioni prospettiche e della diffrazione, ma anche di “simulare” gli effetti dei parametri che impostiamo. La troviamo qui: http://dofsimulator.net/en/

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here