Modelli di composizione: inquadrare al meglio un soggetto – Terza parte

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Oggi presentiamo la terza ed ultima parte dell’introduzione ai modelli compositivi.
Quando si tratta di questo argomento, bisogna ammettere che è impossibile essere esaustivi. Per questo preferiamo parlare di “introduzione” alle più comuni tecniche di composizione. Quello che dobbiamo tenere a mente è che non bisogna vederle come regole dogmatiche che forniscono una comoda soluzione per ogni situazione. Si tratta più che altro di un atteggiamento mentale e con questo spirito, ricordando le parole dei maestri che ci hanno ispirato, vi forniamo i seguenti spunti di riflessione.

ASTRAZIONE

La fotografia astratta si allontana volontariamente dalla rappresentazione oggettiva della realtà e indaga nuove possibilità di espressione.
[Cit.] «L’astrazione in fotografia può sembrare un paradosso se si pensa alla sua funzione di riproduzione meccanica e descrittiva della realtà. Tuttavia […] qualunque sia la sua natura, l’immagine fotografica rimane sempre un’immagine o rappresentazione di qualcosa, anche se il fotografo utilizza vari processi per non far capire allo spettatore cosa realmente rappresenta. Fin dalla sua scoperta nel 1839, la fotografia è stata utilizzata in ambito documentaristico, producendo immagini sulla base dei codici di rappresentazione della visione umana (verismo). Tuttavia, agli inizi del XX secolo, molti fotografi hanno cercato di superare questa visione della fotografia, sperimentando e sviluppando quello che possiamo chiamare fotoastrattismo.» Di Marco Crupi 

A sostegno di tale pensiero, Franco Fontana direbbe:
«non esiste la fotografia astratta, perché il fotografo registra comunque una realtà: è il pensiero del fotografo che è astratto».
Quindi, andiamo a riprodurre sempre qualcosa di reale ma l’astrazione è un processo che viene creato nella nostra mente.

lampada pixar

In altre parole, lo scopo della fotografia astratta, non è rappresentare fedelmente la realtà che abbiamo davanti ai nostri occhi, ma rappresentare ciò che abbiamo nella nostra mente, nel nostro mondo interiore, e lo rappresentiamo attraverso quella stessa realtà che inquadriamo nel mirino. Dunque, gli elementi della scena si trasformano in puri elementi grafici da inserire nella composizione.

Viene da sé che la capacità richiesta per cimentarsi in questo genere di fotografia è la capacità di scomporre la realtà, la capacità di guardare oltre, andare al di là del significato di un oggetto e rappresentare i rapporti tra le varie forme, tra le geometrie, tra i colori, tra i contrasti, tra le luci e le ombre ecc. Gli elementi della foto diventano così un semplice pretesto per rappresentare la propria visione del mondo, un concetto, o comunque servono a rappresentare “altro”.
Per fare questo, può tornare utile isolare i particolari, concentrarsi su di essi mediante obiettivi di lunga focale.
Sebbene l’ottica più adatta a tale scopo sia il teleobiettivo, perché permette di isolare e schiacciare i piani su cui sono posti i vari oggetti ripresi nell’immagine, ciò non toglie che si possa fare fotografia astratta con ogni strumento.

In conclusione, la fotografia astratta affascina e attira l’attenzione dell’osservatore per un motivo molto semplice: perché lo invita a focalizzarsi su un messaggio nascosto, implicito, o comunque lo lascia godere della libera immaginazione.

CHIAREZZA O AMBIGUITÀ

Lo spettatore prova una sorta di orgoglio quando, con un po’ di sforzo, riesce a interpretare un’immagine che a prima vista poteva risultare del tutto incomprensibile, “si compiace nello scoprire e nell’interpretare cose che attribuisce all’artista mentre, in realtà, nascono solamente da lui”, diceva il teorico dell’arte francese Roger de Pile.

Quindi, la costruzione di un’immagine ambigua prevede un rallentamento della visione, effetto molto positivo come abbiamo appena visto.

Franco Fontana, Puglia 1995
Photo by Dmitri Popov
Photo by Neil Daftary
Photo by Ricardo Gomez Angel
Photo by Marco Bianchetti
Photo by Angela Munno, Cicatrici. Particolare di un velivolo militare. Le ombre dei rami di un albero simboleggiano i fantasmi del passato, mentre le varie parti della superficie sembrano cucite e rappresentano le cicatrici lasciate da quest’ultimo.

Anche inquadrare dal basso o dall’alto può creare astrazione. L’immagine risulterà compressa e perderà il suo aspetto realistico, quindi l’occhio sarà costretto a considerare il soggetto in astratto.

Photo by Alessia Vigna Fonte: http://alessiavblog.blogspot.it/2014/07/stairs-and-chairs-vol2.html
Photo by Joel Filipe
Photo by Nicolas Hoizey. La scala del Bramante si trova all’interno dei Musei Vaticani ed è composta da spirali diverse, una in salita per raggiungere le esposizioni e un’altra di uscita dal museo. Per questo è detta “scala a doppia elica”. Avendo due sezioni, una per salire e una per scendere, i visitatori che attraversano nella direzione opposta non si incontrano durante il percorso. Erroneamente attribuita al Bramante, la scala è in realtà opera dall’architetto italiano Giuseppe Momo che l’ha progettata nel 1932. Per gli amanti della fotografia è un must da visitare.

COMPOSIZIONE VERTICALE

Orientare la macchina fotografica in un verso o in un altro è una scelta che influisce sulla percezione dell’osservatore e, altresì, sugli elementi della scena e sul soggetto.

Alcune volte è la destinazione d’uso della nostra immagine ad imporre questa scelta. Pensiamo, ad esempio, all’impaginazione di una rivista, al formato richiesto da un poster o da un manifesto.
Altre volte si tratta di una valutazione attenta del fotografo e quindi di una scelta consapevole.

Bisogna considerare alcuni aspetti.
– Ci sono soggetti che hanno un impatto visivo maggiore e sono particolarmente adatti al formato verticale: la figura umana in piedi, torri, grattacieli, alberi e piante, bottiglie e bicchieri, porte e archi sono alcuni dei soggetti cui si addice questo tipo di inquadratura. Praticamente, tutti i soggetti che hanno uno sviluppo dall’alto verso il basso o viceversa. Come già trattato nel precedente articolo, il bordo inferiore della cornice rappresenta una sorta di base. Dunque, viene sottolineato il concetto di gravitazione, di quella forza che sentiamo come naturale e familiare. Come scrisse il pittore Maurice De Sausmarez a proposito della sovrapposizione di una linea verticale a una orizzontale: insieme producono un profondo senso di soddisfazione, forse perché simboleggiano l’esperienza umana dell’equilibrio, lo stare in piedi sulla terra.
– Essendo abituati alla visione orizzontale, in cui percorriamo l’immagine da un lato all’altro, l’inquadratura verticale aiuta i nostri occhi che sono restii a muoversi dall’alto in basso.
– Con il formato verticale viene trasmessa una sensazione di spinta, di dinamismo.
– Si sceglie questo tipo di inquadratura per enfatizzare un’azione, un soggetto o un contesto. Pensiamo ad un’azione dinamica come un salto, un tiro con l’arco, un’arrampicata, una discesa e così via.

Henri Cartier-Bresson, Derrière la gare Saint-Lazare, Paris, 1932
Photo by Skeeze
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Photo by Nicolai Berntsen
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COMPOSIZIONE ORIZZONTALE

Abituati come siamo ad osservare il mondo con una visione orizzontale e assuefatti anche alla visualizzazione di immagini attraverso rettangoli orizzontali, come il monitor dei nostri computer o semplicemente il display del televisore, cerchiamo con più naturalezza la composizione orizzontale.

«A causa della visione binoculare ci risulta naturale guardare in orizzontale. Certo, nessun formato può riprodurre esattamente la visione umana, perché i nostri occhi non percepiscono la scena simultaneamente come un obiettivo, ma la percorrono, soffermandosi di volta in volta sui singoli dettagli. In ogni caso, il nostro campo visivo ha la forma di un ovale allungato dal bordo indefinito, di cui il fotogramma di una pellicola standard è una ragionevole approssimazione.» [Cit. L’occhio del fotografo, Michael Freeman]

Il formato orizzontale è quello che si presta meglio alla lettura della scena ritratta, permette di contestualizzare ancora di più un soggetto, un’azione, soprattutto un’azione che si sviluppa in piano, con movimenti orizzontali. Molto importante è anche la posizione che scegliamo per il nostro soggetto: a seconda di dove lo posizioniamo, possiamo trasmettere la sensazione di inizio, di continuità o conclusione di un movimento.

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Photo by Skeeze
Photo by Antranias

Inoltre, il formato orizzontale è quello più utilizzato a livello universale, come in pittura, in architettura, e sicuramente richiama nella nostra mente il rapporto aureo, argomento a cui dedicheremo prossimamente un articolo.

FORMATO QUADRATO

Quando parliamo di formati, ci riferiamo alla nozione di aspect ratio (proporzioni), un’espressione che indica, in parole povere, il rapporto tra la lunghezza e l’altezza di un’immagine, «il rapporto fra la dimensione più lunga e quella più corta di una figura bidimensionale» (fonte: Wikipedia).

L’aspect ratio del formato quadrato è detto 1:1, mentre il classico formato 35mm, ereditato dalle reflex digitali, è detto 3:2. Altri formati comuni sono il 4:3 e il 16:9. Ora, è proprio questo rapporto – 1:1 – a dividere in maniera equilibrata lo spazio nel quadrato. Simmetria, regolarità geometrica, rigore formale sono i termini che meglio descrivono questa composizione. Inoltre, la magistrale simmetria fa sì che lo sguardo dell’osservatore venga diretto verso il centro.
Al contrario degli altri formati, suggerisce stabilità e non dinamismo, perfetto equilibrio. Tuttavia, anche se l’effetto rassicurante è piacevole, meglio non farne un uso eccessivo, perché rischia di diventare presto monotono.

I pregi di questo formato? Sicuramente c’è da sottolineare che è più inusuale e quindi di per sé si fa notare subito, risulta facilmente più interessante. Altro punto a suo favore è questo: non avendo una direzione predominante – come avviene invece nel rettangolo – non va ad influenzare la rappresentazione e la relazione tra gli elementi della scena.

Ne deriva che è adatto maggiormente a forme che non hanno un orientamento, come i motivi, le figure a raggiera o comunque simmetriche (per via dei lati uguali e della forte presenza del centro). Ma l’allineamento deve essere preciso per funzionare bene. Quindi non si adatta a tutto e, soprattutto, non sono tante le figure prive di un asse principale. Come abbiamo visto poco sopra, quando i soggetti si estendono in lunghezza o in larghezza, è naturale allineare il loro asse principale con il lato più lungo dell’inquadratura. E, con il quadrato, non possiamo farlo. Pertanto, la mancanza di direzione in alcune situazioni è vista come un vantaggio mentre in altre viene vissuta come debolezza.

Tra le forme che si sposano bene con il formato quadrato troviamo il cerchio. Il quadrante di un orologio, ad esempio, si sposa benissimo con tale formato.

Con il quadrato non sfruttiamo la regola dei terzi, ovviamente, e funziona bene la posizione centrale del soggetto oppure il voler collocare il nostro elemento principale in prossimità degli angoli.

Photo by mb1028

Parlando di aspect ratio, sorge spontanea l’aggiunta di questa piccola nota: può succedere che si scelga di rimandare la scelta compositiva al momento in cui ci ritroviamo a ritagliare la foto, quindi in post produzione, anche se questo vuol dire che è necessaria una risoluzione di partenza abbastanza alta. Si tratta di una scelta da non biasimare, a patto che non diventi una scappatoia, un incentivo a impegnarsi poco nella fase di scatto o un rimedio per tutti gli errori di inquadratura. Il ritaglio non è da vedere come la panacea a portata di clic.

RIEMPIRE IL FRAME: IL CONTESTO

Avvicinarsi o indietreggiare? Riempire l’inquadratura, isolando il soggetto, o inserirlo in un contesto? Tutto dipende dall’importanza di quest’ultimo. Il contesto aggiunge significato? In effetti, spesso rivela informazioni sul soggetto e la sua azione, ci indica le proporzioni del soggetto, dato che possiamo rapportarle allo sfondo. Ma, a volte, un primo piano (close up) è sufficiente a dare risalto al soggetto e non c’è bisogno di aggiungere altro. Insomma, il fotografo saprà, anche in maniera abbastanza intuitiva, qual è la scelta giusta per una determinata circostanza.

Photo by Zielinska
Photo by Sumonman Khunprasert
Photo by GPHOTOGRAPHY

SOGGETTO DECENTRATO

Una delle prime “regole” compositive di cui sentirete parlare mentre vi avvicinate alla fotografia è questa: evitate di posizionare il soggetto al centro dell’inquadratura, perché si tratta di una soluzione abbastanza prevedibile e monotona. Ora, come tutte le regole, non è detto che questa sia sempre la scelta più efficace, ma spesso è valida. Decentrare il soggetto riesce innanzitutto a stabilire una relazione di quest’ultimo con lo sfondo. Inoltre l’immagine risulterà più dinamica, verrà creata tensione dinamica perché perché l’occhio tende a ricreare l’equilibrio. In effetti, quello che a noi interessa è suscitare e potenziare l’interesse visivo e favorire la lettura della foto, creando linee guida e relazioni tra gli elementi della scena. Se poi parliamo di soggetto decentrato, viene spontaneo collegarsi alla regola dei terzi, per cui vale la pena sfruttare i punti in cui l’occhio concentra maggiormente la sua attenzione. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Regola_dei_terzi

Photo by Composita

Photo by TeroVesalainen
Photo by Jill Wellington

Tuttavia, la scelta stilistica di porre il soggetto al centro non è sbagliata se la sensazione che si vuole trasmettere è proprio quella di staticità e non quella di dinamismo.

L’ORIZZONTE

Gli elementi dell’inquadratura contribuiscono a suddividere la stessa in più parti. Questa ripartizione può essere implicita – pensiamo ad un punto o un elemento di ridotte dimensioni all’interno di una superficie grande – o piuttosto evidente, come la divisione creata dalla linea dell’orizzonte. La domanda è: dove posizioniamo la linea dell’orizzonte? Qui bisogna decidere a cosa dare maggiormente importanza, se alla parte relativa al cielo o a quella relativa al primo piano, al cosiddetto foreground. Chi deve dominare la scena? Chi è il protagonista? Abbiamo un bel cielo ricco o una Via Lattea a cui dare risalto? Oppure un paesaggio con una grande capacità attrattiva e comunicativa? Di certo, la linea dell’orizzonte nella fotografia di paesaggio è uno degli elementi grafici dominanti, soprattutto quando non ci sono particolari centri di interesse visivo.

La tendenza principale è posizionare l’orizzonte sul terzo inferiore, sempre facendo riferimento alla regola dei terzi e per gli stessi motivi citati in precedenza, ovvero per la sensazione di stabilità che produce il margine inferiore dell’inquadratura o base. In tal caso usiamo il termine skyscape per descrivere questo tipo di foto. Al contrario, possiamo porre la linea dell’orizzonte nel terzo superiore (landscape).

In questo senso si può parlare di una sorta di regola dell’orizzonte: l’inquadratura viene divisa in tre parti uguali e l’orizzonte viene posizionato vicino a una delle due linee che dividono il piano. Così, si evita l’eccessiva simmetria tra cielo e terra. Infatti, porre la linea dell’orizzonte al centro rappresenta una scelta un po’ scontata e che non favorisce il coinvolgimento di chi guarda la foto.

Facciamo poi attenzione a tenerla dritta, prima che si alzi il dito inquisitore dei colleghi fotografi. E, per evitare che risulti storta, possiamo utilizzare lo strumento livella presente nella nostra fotocamera, oppure utilizzare una livella a bolla da posizionare nella slitta del flash, o agire in post produzione per raddrizzarla. Nella fase di elaborazione dell’immagine è possibile non solo rendere dritto l’orizzonte ma anche ritagliare l’immagine in modo che venga posizionata nel migliore dei modi.

Photo by Dawnfu
Photo by Candiix

CORNICE NELLA CORNICE

Le cornici interne (framing) rappresentano una delle tecniche più riuscite e diffuse. Il successo di questa composizione è determinato dall’effetto che producono sulla nostra percezione: siccome il nostro sguardo è invitato ad attraversare un piano per raggiungerne un altro, quella che viene creata è l’illusione di profondità e quindi la foto guadagna un aspetto tridimensionale. All’osservatore sembrerà di guardare il mondo da una finestra (ma anche da un oblò, come cantava qualcuno) e, soprattutto, sentirà di entrare nella foto: il suo sguardo viene accompagnato verso il centro o comunque verso il soggetto.

Cornice è tutto ciò che crea un contorno al soggetto e può circondare totalmente o parzialmente quest’ultimo. Cornici sono gli elementi architettonici, le porte, le finestre, gli archi, lo spazio tra due colonne, i disegni di un cancello o, più semplicemente, i rami di un albero o una fessura.

La cornice ha il compito di isolare, valorizzare il soggetto, focalizzare l’attenzione sul soggetto ma non deve assolutamente rubare la scena. Per questo è preferibile che sia più scura dell’elemento principale, accennata e non definita.

Oltre a generare curiosità e interesse, la cornice ha anche una funzione organizzativa: la scena si svolge all’interno di un riquadro più o meno preciso. Vengono stabiliti dei limiti nello spazio della foto, suggerendo così una sensazione di stabilità.
CIT. In un certo senso quindi le cornici interne fanno appello alla naturale tendenza dell’uomo a imporre il proprio controllo sull’ambiente. Si prova una certa soddisfazione nel vedere i diversi elementi della scena organizzati secondo un criterio preciso. Da L’occhio del fotografo

Si prova anche piacere nell’immergersi nella foto come osservatori “curiosi” che spiano silenziosamente per conoscere una nuova storia o una storia conosciuta ma raccontata in un modo nuovo. Tuttavia, come le altre tecniche, si tratta di un espediente che va usato con parsimonia, per evitare di essere prevedibili e monotoni.

Photo by Photomat
Photo by Patrick Hendry

SPAZIO NEGATIVO, L’IMPORTANZA DELLO SPAZIO VUOTO

Lo spazio negativo, noto anche come whitespace o spazio bianco, è quell’area che circonda il soggetto. In questo senso, il soggetto è definito “spazio positivo”.

Si tratta, fondamentalmente, di uno spazio vuoto o comunque che non contiene elementi che entrano in competizione visiva con il soggetto. In altre parole, non deve distogliere l’attenzione dal messaggio principale. Anzi, deve fare proprio il contrario: definire e sottolineare chi è il soggetto.

È buona regola fare in modo che gli spazi positivi e quelli negativi siano ben bilanciati. Così come è una scelta efficace essere generosi con la quantità di spazio vuoto, non cedendo alla tentazione di stipare qualcosa in ogni centimetro della foto.

È lo spazio vuoto a conferire significato o a cambiarlo, modellarlo, aggiungendo o sottraendo importanza, suggerendo uno stato d’animo, inserendo il soggetto in un contesto e creando, così, profondità.

Guardate questa foto pubblicata dal sito nationalgeographic.it dove lo spazio vuoto è stato utilizzato assieme alla composizione per conferire all’immagine un senso di sognante solitudine. Link: https://bit.ly/2G6NLdS

Grafici, designer e videomaker lo chiamano anche “aria”. Vi sarà capitato di sentire l’espressione “manca un po’ di aria nella parte alta della foto”. E questo termine è particolarmente appropriato perché lo spazio negativo permette alla foto di respirare appunto. A respirare poi sono anche gli occhi dell’osservatore. Diventa una zona dove l’occhio può riposarsi, per poi tornare a concentrarsi sul soggetto principale. È evidente che tutto questo non accade con le foto ingombre di elementi che soffocano il protagonista e confondono, anziché suscitare una sensazione di calma e permettere di esplorare il contenuto dell’inquadratura.

CIT. Lo spazio negativo è ordine, pulizia, eleganza, equilibrio. Sia in una foto che in una qualsiasi altra composizione visiva. È uno stile vero e proprio. Lo spazio negativo è lo zen della fotografia. È l’arte del minimalismo. Rimuovere il disordine visivo per ridurre tutto ad un ordine estremo, essenziale. Impara a togliere e a ripulire le tue foto e composizioni da tutto ciò che è in più, che non c’entra nulla, che soffoca il soggetto. E come spesso accade, un certo risultato artistico dipende dallo sviluppo di un’attitudine o abitudine mentale. Si incomincia dalle cose semplici, ci si allena con quelle della nostra quotidianità per arrivare a quelle artistiche. Un esempio? Inizia dal tuo desktop. Ripuliscilo, fai ordine, elimina il superfluo e lascia solo ciò che effettivamente serve. Diventa minimale. Lascia il disordine a chi ha idee confuse e ripulisci le tue da ciò che non serve. Viaggia leggero e mantieni i tuoi messaggi semplici e puliti. Max Furia

Come bilanciare lo spazio negativo e lo spazio positivo? Utilizzare il doppio dello spazio negativo rispetto allo spazio positivo è una pratica abbastanza diffusa. In questo modo, il soggetto occuperà solo un terzo dell’inquadratura mentre gli altri due terzi rappresenteranno lo spazio vuoto.

Un altro suggerimento di cui sentirete parlare è quello di lasciare più spazio nella direzione in cui guardano gli occhi del soggetto, così l’osservatore non verrà portato a guardare fuori dalla cornice della foto, perdendo cioè tutto il contesto che avvolge il soggetto.

Chiudiamo questa parentesi sullo spazio negativo con un’altra citazione, di taglio più filosofico ma davvero notevole.

CIT. Se mi piace il concetto di spazio negativo applicato alla comunicazione, lo trovo straordinario quando applicato al pensiero sistemico: lo spazio negativo, ciò che non si vede e che si trova intorno a un soggetto o fra più soggetti apparentemente protagonisti, altro non è che il…sistema. Il sistema è costituito dalle relazioni, da collegamenti invisibili, è l’insieme dei continui cicli di retroazione che sostengono la realtà con il suo susseguirsi di eventi fra loro SEMPRE connessi in catene chiuse di causa-effetto, catene che non siamo educati a vedere. Diamo costantemente troppa importanza ai “protagonisti” dimenticando che la corretta interpretazione della realtà risiede nei collegamenti, nelle relazioni tra individui, contesto ed eventi e non nei singoli punti: insomma, risiede nello spazio negativo, appunto. Gianluigi Merlino

Photo by Johannes Plenio
Photo by Gypzy
Photo by Sasin Tipchai
Photo by Skeeze

LA REGOLA DEI TRE O REGOLA DEI DISPARI

Sembra che l’occhio guardi con maggiore interesse una foto contenente un numero dispari di elementi e che l’immagine diventi facilmente più attraente ed efficace.
Questa teoria ha un fondamento scientifico: il cervello invita l’occhio a cercare il centro all’interno di un gruppo di elementi, per poi concentrarsi sul soggetto principale. La regola funziona ancora di più quando gli elementi sono simili tra loro.
Con elementi dispari, si troverà presto il centro mentre con due elementi il cervello finirà con il separare i soggetti e dividere la foto in due parti simmetriche. Pertanto, l’immagine non sarà letta nel suo insieme. Anzi, in una foto contenente elementi pari, l’occhio andrà a concentrarsi su uno spazio vuoto, ovvero sullo sfondo piuttosto che sui soggetti, ottenendo così l’effetto contrario a quello desiderato.

Mentre poi un numero pari crea una sorta di competizione tra gli elementi della foto, il numero dispari tende verso un bilanciamento armonioso (Galli/Trevisan). Ma meglio non esagerare: tre è un numero che funziona benissimo, invece inserire tanti elementi, seppure dispari, crea una composizione caotica.
Non dimentichiamo poi un concetto già visto nei precedenti articoli su questo argomento, ovvero che il triangolo compositivo che viene a crearsi con tre elementi è un accorgimento che giova all’impatto visivo della foto, oltre a mettere in relazione gli elementi tra loro.

Photo by last_firstborn

SPUNTI

Apriamo quest’ultimo spazio nel discorso per un paio di spunti. Il primo è un invito a fare attenzione agli elementi estranei che possono disturbare la visione. Pensiamo a quelle foto in cui un ramo di un albero sembra spuntare dalla testa della persona fotografata creando un effetto per nulla gradevole. Ma gli esempi sarebbero tanti. Pertanto, concentriamoci sullo sfondo e su come gli altri elementi vanno a interagire/interferire con il soggetto principale.
Altra riflessione veloce la facciamo sulla regola dei terzi. È vero che grazie a questa regola avremo una composizione armonica ma non abusiamone, altrimenti si finisce con il creare stereotipi di immagini un po’ tutte uguali. Le probabilità di sbagliare quando si applica la regola dei terzi sono quasi nulle ma è anche però più difficile che si riesca a proporre qualcosa di nuovo.

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